Estate: sole, mare e… imbianchini per casa.
Qualche goccia mi ha segnato anche se non so come sia potuto succedere.
Me ne accorgo in spiaggia, mentre sono steso al sole, e tocca scorticarmi per levarle.
Una ne tolgo e un’altra ne appare, eppure mi sono guardato bene dall’avvicinarmi a secchi e pennelli.
L’armadio della camera dei miei genitori è massiccio e pesante e mi tocca alleggerirlo per spostarlo.
E poi che mobile è se non si muove?
– Mamma, un rigattiere ha aperto un esercizio sopra il tuo armadio, te ne sei accorta?
Tra i tanti articoli in esposizione, il pensiero incontra alcune gocce indelebili della memoria.
C’è una statua che porta i segni di mille conflitti, la ricordo da bambino che mi guardava dall’angoliera della vecchia cucina.
Ho sempre paura di chiedere le spiegazioni a mia madre perché la sua lingua rifugge dall’interrogativo della domanda e salta da un ricordo all’altro senza alcun filo logico a me noto.
Mi faccio coraggio, prendo un respiro profondo e le chiedo conto dell’oggetto.
Mia mamma non indugia e io già tremo.
Lei è nata e cresciuta alla Via Mezzocannone, la strada delle vecchie università, nel cuore di Napoli.
La mia devotissima nonna aveva eletto lei tra le sue figlie come compagna delle sue passioni religiose e all’alba trascinava lei e i suoi meravigliosi occhi grigi e assonnati a messa nella chiesa di Santa Chiara.
Il profumatissimo chiostro delle clarisse, invece, era l’ambiente dei suoi giochi d’infanzia, il luogo straordinario frequentato assiduamente da tanti turisti stranieri e da quel signore di mezz’altezza, tale Benedetto Croce, che nell’ora della sua quotidiana passeggiata dispensava felicità ai bambini sotto spoglia di caramelle.
– Mamma, la statua!!!
Già, la statuina.
Era di una bambina che era accompagnata sempre e solo da una signora che doveva essere sua madre.
Raffigurava Santa Rita e ci giocava là nel chiostro, così, come se fosse una bambola.
Mia madre era chiamata pittura fresca perché era una bambina con un carattere vivace, che segnava come una mano di vernice appena data, ma aveva un cuore grande, come adesso, sempre pronta a prodigarsi per gli altri.
Lei sorrideva sempre a tutti e anche a quella bambina triste con quella strana bambola, perché un sorriso genera un sorriso.
Una mattina pittura fresca, per porre fine a un’ingiustizia, aveva deciso di parlarle perché non si spiegava come poteva essere che una bambina, di sua spontanea volontà, preferisse come compagno di giochi nientemeno che un adulto!
Si avvicinò a quegli occhi tristi di bambina che i segni della malattia avevano reso già adulta.
Il suo sorriso fu un lampo ricambiato che sancì l’accordo che avrebbero giocato insieme fino a sera.
Quella fu l’ultima volta che la vide.
Un giorno nel chiostro rivide la madre da sola che piangeva con la statuina in grembo. Mia madre le si avvicinò e rimase in silenzio a cercare con gli occhi la bambina triste. La madre la guardò, le fece una carezza e così, senza dirle niente, le lasciò la statuina.
Ora è lì, che mi guarda, tra i miei libri di diritto.